Chi ci ruba l'immaginazione?
Dall'oro alle idee: una storia di sfruttamento che cambia faccia, non logica.
Ciao, hello!
Eccomi qui con un’ultima newsletter prima della pausa estiva.
Questa volta vorrei condividere con voi qualcosa di un po’ diverso.
Ogni tanto sento il bisogno di uscire dal formato e ragionare ad alta voce, partendo da una domanda che mi colpisce — questa volta, sull’impatto che l’intelligenza artificiale sta avendo sul nostro lavoro creativo.
In un post su LinkedIn, un “prompt designer” si chiedeva: “Copiare is the new assumere?”
Una frase che mi ha lasciato addosso una strana sensazione — come se qualcosa di già visto stesse tornando sotto una nuova forma.
Un déjà-vu digitale
Sarò forse estremo, ma non vedo molte differenze tra l’atteggiamento delle potenze coloniali dei secoli scorsi e quello delle grandi aziende tecnologiche di oggi.
Le prime — ricche, spietate e invasate — hanno conquistato e assoggettato popoli, sfruttandone le risorse e la forza lavoro, imponendo i propri sistemi politici e culturali, con i conseguenti disastri sociali ed economici che tutti conosciamo.
Le seconde fanno lo stesso. Solo che oggi le risorse non sono più miniere o piantagioni: sono idee, stili e capacità tecniche. Sono immagini, testi, visioni.
Ti studiano, ti tracciano e ti svuotano
Prendono quello che crei, senza chiedere, e poi lo usano per addestrare sistemi che generano profitto per pochi e danni per molti.
Dall’oro alle idee, il meccanismo non è cambiato: è ancora estrattivo, asimmetrico e opaco.
È un nuovo colonialismo, che oltre ai dati e all’attenzione collettiva, prosciuga in modo preoccupante le risorse energetiche del nostro pianeta. Living la vida global, baby.
Il dito, la luna
Siamo tutti concentrati sull’AI generativa, ma il vero cambiamento nei settori creativi è già avvenuto. È arrivato con gli algoritmi.
I feed hanno sostituito il portfolio e le logiche social si sono imposte sul modo in cui condividiamo il nostro lavoro ed entriamo in contatto con altre persone.
Oggi sembra non contare più cosa facciamo, ma come lo raccontiamo.
“Online, it’s easy to look like an authority on design without making very much of it.”
— Elizabeth Goodspeed (Editor in Chief – It’s Nice That)
Il contenuto non è più solo il contenuto. Il contenuto siamo noi. Venduti, misurati, replicati e consigliati.
Non a caso, chi difende l’uso massiccio dell’AI nel lavoro creativo spesso dice che, a fare la differenza, non sarà più chi ha capacità tecniche e talento, ma chi saprà raccontarsi meglio, con una forte identità e una presenza social efficace.
Qualcosa si è rotto
Negli ultimi mesi ho iniziato a pubblicare molto meno il mio lavoro sui social e sopratutto su Instagram – non perché manchino le idee o i progetti, ma perché ho iniziato a sentirmi fuori posto in un sistema che non difende né l’autonomia né la creatività, e sembra premiare solo ciò che è immediato, ripetibile e performante.
C’è troppo rumore. Troppi consigli e verità assolute su un mestiere che, almeno per me, continua a essere fatto di tentativi, intuizioni, deviazioni e soluzioni impreviste.
Quello che una volta sembrava uno spazio di scambio e di comunità si è svuotato.
Capita anche a te di non vedere quasi più il lavoro delle persone che stimi, ma un flusso casuale di contenuti sponsorizzati, account sconosciuti e “altre cose che funzionano”?
Ogni post, ogni reel, ogni frase sembra dover avere uno scopo: vendere, crescere, convincere. Anche senza volerlo, questa logica si infiltra e condiziona il modo in cui raccontiamo il nostro lavoro — o ci fa venir voglia di non raccontarlo affatto.
Il rischio non è solo perdere spontaneità ma di iniziare ad auto-filtrarci, lasciando che a decidere cosa vale la pena mostrare non sia più la nostra creatività… ma l’algoritmo.
C’è poi una grande questione morale che sta emergendo con sempre più forza. Come possiamo continuare ad utilizzare piattaforme che, oltre al diritto d’autore, non rispettano la nostra dignità, la nostra privacy e che manipolano costantemente la nostra attenzione?
E poi arriva l’AI
Le crepe aperte dagli algoritmi potrebbero allargarsi ancora di più con la diffusione dell’intelligenza artificiale – anche se, per ora, nel mondo dell’illustrazione e dell’editoria non vedo un’invasione vera e propria di immagini generate con AI.
Prendono tutti tempo. Aziende, studi e case editrici stanno testando l’AI, spesso in modo prudente – ma l’idea che questi strumenti possano presto garantire risultati coerenti e utilizzabili, soprattutto nei contesti in cui non ci sono più risorse per collaborare con freelance, sembra farsi strada.
Gli esperimenti, però, quando riguardano un sistema fragile e poco tutelato, possono fare danni enormi.
Come può una professione creativa restare sostenibile se l’AI promette soluzioni a costo (quasi) zero e alimenta l’illusione che per generare un’immagine efficace basti una buona descrizione – tanto stile, approccio e idea si possono sempre copiare?
Nel frattempo, anche le piattaforme che usiamo ogni giorno non stanno a guardare. Cercano di appropriarsi dei contenuti che condividiamo per allenare i propri sistemi di machine learning, spesso in modo opaco, con opzioni di cessione dei diritti nascoste nei termini di utilizzo.
L’esempio più recente è quello di Meta, che ha introdotto meccanismi di opt-out poco chiari e difficili da trovare, tanto da essere stata messa sotto pressione in vari Paesi. L’ex responsabile degli affari internazionali dell’azienda, Nick Clegg, ha dichiarato che "chiedere agli artisti il permesso di usare le loro immagini, ucciderà l’industria dell’AI”.
Proprio mentre finivo di scrivere questa newsletter è scoppiato il “caso WeTransfer”. Anche loro avevano aggiornato i termini di servizio, inserendo clausole poco trasparenti sull’utilizzo dei dati e la cessione totale del diritto d’autore sui file caricati. Dopo le proteste di moltissimi utenti, tra cui io stesso (puoi leggere qui cosa ho scritto su LinkedIn), hanno fatto marcia indietro in tempi record, dichiarandosi a favore del diritto d’autore e della tutela di utenti e creators.

Io non credo che l’AI segni la fine della creatività, ma il modo in cui viene addestrata, usata e regolata… quello sì che potrebbe esserlo.
Ecco perché serve continuare a parlarne, informarsi, e fare scelte consapevoli – anche piccole – su come e dove condividiamo il nostro lavoro.
Come possiamo proteggerci?
L’ho chiesto direttamente a ChatGPT, per mettere alla prova la sua idea di creatività, libertà e originalità – e la risposta mi ha stupito.
Intervista lampo a un modello di intelligenza artificiale
Essendo tu un modello di AI generativa, come suggeriresti ad illustratori e graphic designer di proteggere il proprio lavoro?
Non posso negare che modelli come me siano stati addestrati su una quantità enorme di dati, spesso senza che i creatori originali ne fossero consapevoli o consenzienti. È un problema reale, soprattutto per chi lavora con immagini, stile e contenuti creativi.
Quindi, anche se può sembrare paradossale, ecco cosa suggerirei:
Firmare il proprio lavoro, anche nei bozzetti e nelle preview. Le firme aiutano gli archivi automatici a riconoscere la paternità, anche se non sono infallibili.
Usare watermark invisibili o metadati, come quelli proposti da Adobe (Content Credentials) o da iniziative open come C2PA. Non fermano i furti, ma mandano un segnale forte.
Condividere in modo più selettivo, preferendo community o clienti che rispettano i diritti degli autori e specificano come useranno le immagini. Mostrare meno, ma alle persone giuste.
Unirsi a reti di categoria o gruppi di advocacy, che chiedono trasparenza e regole sull’uso delle opere creative per l’addestramento dei modelli. Il tuo lavoro pesa di più se è parte di una voce collettiva.
E infine: continuare a fare domande. Pretendere risposte. Raccontare cosa significa creare davvero.
Perché ogni volta che un algoritmo si ispira a un’immagine, a una scelta di colore, a una composizione…
è perché qualcuno, prima, ci ha messo tempo, pensiero e mani.
E TU cosa ne pensi?
Hai già preso qualche precauzione per proteggere il tuo lavoro?
Hai trovato soluzioni e strategie efficaci o hai deciso che, dopo tutto, il giardinaggio può darti maggiori soddisfazioni?
Scrivimi o rispondi nei commenti, mi farebbe piacere parlarne. 👀
Ciao Roberto, grazie per questa newsletter, l'ho trovata molto interessante e ben scritta. L'ho inoltrata anche a degli amici/colleghi. Non so se conosci il lavoro dell'associazione Egair (https://www.egair.eu) che in Europa e in Italia si sta muovendo per chiedere una regolamentazione sull'utilizzo dell'AI.
Ciao, a presto!